Sono Aldo Pastore e lavoro in quelle grandi aziende che tutti chiamano multinazionali. Le chiamano così perché sono fatte da tante entità, una per nazione, ognuna un clone dell’altra, chiamate filiali. Queste entità sono distribuite in piccole costellazioni, ognuna con al centro un oggetto strano, chiamato quartier generale. E ogni costellazione di filiali, con il suo quartier generale al centro, ruota attorno a un punto mitico, il centro della galassia, che alcuni chiamano, con disprezzo o con timore, la sede centrale.
A pensarci, non è diverso da un esercito. Le pattuglie i plotoni le squadre le brigate le divisioni e il Ministero della Guerra in via Venti Settembre. Ma pensatelo come un esercito sparso per tutto il mondo, un grafo a ragnatela che copre tutta la cartina.
Fino a qui, nulla di così strano. Ma io lavoro in quelle multinazionali che producono promesse. Non produciamo lunghe barre di alluminio, per dire; non cuociamo conserve di pomodoro né mettiamo zucchero e gas in bottiglia.
Le nostre promesse sono create da ragazze e ragazzi in gamba e costano care. Quindi più promesse le nostre persone producono in un giorno più le nostre aziende guadagnano più i loro capi e capetti, io per esempio, diventano ricchi. E quando sono al lavoro su una promessa per un cliente, i nostri ragazzi diventano proprietà del cliente. Sono schiavi. Che devono lavorare più possibile per rendere ricchi i loro padroncini. E i padroncini, quelli come me, devono fare lo stesso per rendere ricchissimi i padroni.
Se vi ricorda qualcosa di brutto, avete ragione. Ma aspettate a scandalizzarvi.
In queste aziende succedono le stesse cose che succedono ovunque. Si litiga, ci si innamora, si vince e si perde e anche si ride, a volte. Ma l’etica del non avere etica fa accadere storie che a leggerle potrebbero sembrarvi impossibili.
Io in queste aziende ci sono entrato per caso, senza davvero volerlo e senza sapere quello che avrei trovato, che poi è come tendo ad entrare in tutto quello che faccio, in modo cieco o almeno molto miope. Mi succede nel lavoro e nelle svolte sentimentali, nei nuovi sport, nell’educazione di mio figlio. A seconda dell’umore la chiamo disattenzione, irresolutezza, serendipity. Da qualche anno una psicologa è diventata famosa chiamandola forma mentale dinamica, e qualcun altro la chiama la rivincita del generalista. Alla fine, si tratta solo di riconoscere che gli eventi ci succedono, e cercare di sfangarla.
Ma appena entrato nella mia multinazionale, appena diventato una sua proprietà, ho capito che sfangarla sarebbe stato complicato, che sarei rimasto per sempre in conflitto morale. Il mio comunismo di gioventù si era slavato ma alcuni princìpi erano rimasti e si erano incrostati in me senza possibilità di rimuoverli. Potevo lasciare perdere e cercare un’altra strada, o combattere dall’interno in modo da potermi giustificare con me stesso e addormentarmi quasi tranquillo. L’idea di cercare un’alternativa era attraente ma richiedeva uno spunto di energia e determinazione che non avevo. Combattere dall’interno, essere la mosca del capitale, sembrava richiedere meno fatica. La scelta era fatta.
Sono arrivato al punto finale di questa lotta continua e voglio raccontarla partendo dall’inizio, da quando feci il salto di specie.
che immagino sia anche quello che e' adesso...
Grazie!
Grazie Renzo, e se continua a piacerti condividi!